LA FEBBRE DELL'ORO di C. Chaplin 1925: un genio 'politicamente scorretto'


Il motivo per cui ho scelto La febbre dell'oro, di Charlie Chaplin, un film di novant'anni fa, per il primo post dedicato al cinema di questo blog è essenzialmente uno: negli ultimi tempi gli unici film che ho visto sono quelli di Chaplin con protagonista il classico 'omino' o 'vagabondo', in Italia Charlot, per l'ottimo motivo che mia figlia di due anni e mezzo ne va matta. E spero ne vada matta anche quando sarà più grande. Mi spaventa un po' l'idea che i film di Chaplin siano considerati oggi, e maggiormente in futuro, solo reperti storici del cinema d'un tempo, per i suoi ritmi pacati e l'ingenuità dei primordi. Se attualmente i ritmi sono folli e se ingenuità e innocenza sono ormai considerate debolezze la colpa non è certo di Chaplin.

La febbre dell'oro non è il mio film preferito fra quelli di Chaplin, ma può ugualmente essere di stimolo per qualche riflessione.

La prima è una constatazione ovvia, ma validissima: Chaplin era un genio. Per quanto mi è dato sapere, è stato il più rappresentativo artista di cinema del primo Novecento, forse il più grande artista del suo tempo. Tanto per chiarire ripeto qualche banalità risaputa: nel suo cinema riusciva a combinare alla perfezione tenerezza, comicità, poesia, tragedia e critica sociale. Per tacere della mimica e della presenza scenica. Ciò in maniera apparentemente semplice, utilizzando plot basilari, lineari. In realtà sappiamo che Chaplin era meticoloso all'inverosimile e che per realizzare le scene che ci appaiono così elementari impiegava gran dispendio di tempo e risorse. E se le trame si presentano come canovacci piuttosto semplici mi pare evidente che ciò sia in primo luogo perché l'attenzione dell'autore e dello spettatore doveva concentrarsi su pochi elementi essenziali. Nei film migliori di Chaplin, infatti, tutto è necessario sia così com'è e, ritengo, non può essere immaginato in maniera diversa: togliere o aggiungere qualcosa sconvolgerebbe l'equilibrio tra i diversi fattori (tragedia, comicità, etc.) così miracolosamente raggiunto.

Nella sua epoca e coi mezzi a sua disposizione credo che Chaplin abbia dato il meglio. Numerose scene celeberrime di suoi film sono l'epitome della perfezione: ne La febbre dell'oro, ad esempio, la danza dei panini, la casa che oscilla in bilico sul burrone, le allucinazioni indotte dalla fame.

Inoltre era il dominus assoluto delle sue opere: ne era produttore, regista, interprete principale, sceneggiatore, tramontato il cinema muto ne curava persino la colonna sonora... Sotto certi profili la necessità di controllare ogni fase e aspetto dei propri film lo accomuna a un altro autore di genio, ma estremamente diverso, come Stanley Kubrick.

Da evidenziare che Chaplin poteva essere tenero quanto si vuole, ma non mancava mai di sottolineare quanto potesse essere dura la vita e anche perché lo fosse: la miseria, la fame, l'opulenza per pochi, l'evidente iniquità degli assetti sociali sono temi costanti nei suoi film, e gli onnipresenti poliziotti non sono mai, talvolta loro malgrado, forze di un ordine di giustizia. In La Febbre dell'oro trovano ampio spazio la disperazione, la fame (che Chaplin in gioventù aveva realmente sofferto) e la primordiale legge del più forte. 


L'artista inglese non si può nemmeno definire, come si direbbe oggi, 'politicamente corretto'. Basta vedere, ad esempio, il suo cortometraggio Easy Street del 1917: uno spettacolo di degrado senza compromessi, con delinquenti che si picchiano in mezzo a strade polverose, derelitti intimoriti e infine anche un tossicodipendente munito di siringa... 

A suo modo Chaplin diffuse una sua visione del mondo, esplicitando a sufficienza chi considerasse nel torto. Va ricordato, tutto a suo onore, che negli anni Cinquanta la paranoica America maccartista gli negò il visto di rientro dall'Europa.

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