I RACCONTI DI SEBASTOPOLI di Lev Tolstoj: dall'eroismo di Putin a quello di Tolstoj
Sarà che la Russia è tornata in auge sul fronte mediatico, grazie alle imprese dello zio Vladimir (Putin), un personaggio sgradevole, forse spregevole, senz'altro fuori dai canoni che amiamo definire democratici. Certo che, accanto alla putiniana noncuranza verso diritti variamente civili e alla sua mancanza di scrupoli, fa da contraltare un aspetto che ci affascina e che trovo sia molto russo, cioè la preferenza di Putin per azioni politiche 'irragionevoli', frutto di un orgoglio nazionale che non porta ritorni economici, di una esibita autonomia rispetto al nostro strapotere occidentale, ma anche rispetto, ora che pare in rotta persino coi 'gerarchi' (lo dice Limes di gennaio), ai legami che avvincono le nostre democrazie alle varie lobbies di stanza a Bruxelles o a Washington. Ultimamente questo 'bandito' (e ultimamente i paesi occidentali - o Nato, o quel che più vi aggrada - l'hanno davvero bandito) sembra fare titanicamente quello che gli pare, perciò ci affascina, o almeno ci incuriosisce. Pericolosa fascinazione, giacché di lati oscuri ce ne sono tanti nella parabola dell'ex tenente colonnello del KGB. Che peraltro sta giocando in difesa, in questo momento particolarmente delicato per la Russia. D'altronde è probabile che lo zio Vladimir pensi: “Meglio che si parli della mia sfrontatezza e dei miei pettorali anziché dei problemi della Russia...” Come si suol dire: «Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi». E viceversa, per usare l'espressione originale, «Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi».
Putin o non Putin sto leggendo tanti russi e ne hanno fatto le spese più di tutti i libri di fantascienza e quelli di economia. Non ci vedo un meglio o un peggio. Forse la passione sfiorirà o si attenuerà. Per ora a me va bene così.)
Il primo di questi tre racconti di Lev Tolstoj, ambientati fra il 1854 e 1855 nel corso della guerra di Crimea (terra tormentata, come si vede), ha una funzione introduttiva ed è, in un certo senso, fuorviante, poiché menziona sentimenti come l'amor di patria che, come si vedrà, per Tolstoj, come per (quasi tutti) noi, sono di secondaria importanza rispetto all'umana pietà che per il resto è al centro dei questo primo racconto come degli altri. La descrizione della città di Sebastopoli assediata durante il conflitto turco-russo del 1854 è sentita, priva di personaggi e narrazione, quasi una testimonianza giornalistica.
Il secondo dei I racconti di Sebastopoli è invece abitato da un coro di personaggi. C'è il ripudio per la guerra: come può una creatura dotata di intelletto dedicarsi alla guerra? Allora non è intelligente come crede, ragiona Tolstoj. Indimenticabili le due pagine in cui Tolstoj tratteggia il flusso di pensieri di un ufficiale ferito che, quasi inconsapevolmente, sta morendo. Ampio risalto viene dato alla vanità umana, così forte specialmente fra gli ufficiali aristocratici. Una presa di posizione controcorrente in quell'epoca da parte del conte Tolstoj. Nel finale l'autore chiarisce che unica protagonista di quanto ha scritto è la verità.
Il terzo racconto, la storia dell'incontro sul teatro di guerra di due fratelli e delle vicende che ne seguono, è quello in cui è preponderante l'invenzione narrativa. Pare che i tre racconti si evolvano dalla cronaca di tipo giornalistico del primo al racconto compiutamente narrativo del terzo. In effetti furono originariamente pubblicati su rivista.
In tutti e tre non manca la retorica sulla virtù virile del coraggio, ma in conclusione Tolstoj pare chiedersi soprattutto che bene può mai venire da tale malinteso eroismo in mezzo alla stoltezza e all'assurdità della guerra.
Il giovane Tolstoj è ancora una promessa del sorprendente panorama letterario russo di metà Ottocento, ma merita già di essere letto.
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