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FIGLI DI TROIKA. GLI ARTEFICI DELLA CRISI ECONOMICA di B. Amoroso: da lasciar perdere.
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Un pamphlet raffazzonato che non aggiunge nulla di nuovo. La cosa migliore è il titolo, triviale e accattivante.
Pubblicare libri così malscritti va solo a solo a detrimento della causa che si vuole sostenere.
(Secondo me chiunque dia un'occhiata ai libri di cui scrivo in questo blog può pensare che sia monomaniacalmente preda di una passione per gli autori russi, specialmente i classici dell'Ottocento. Be', confesso che è abbastanza vero. Nell'ultimo anno ho letto un buon numero di autori russi e non mi hanno ancora stancato. Sarà che la Russia è tornata in auge sul fronte mediatico, grazie alle imprese dello zio Vladimir (Putin), un personaggio sgradevole, forse spregevole, senz'altro fuori dai canoni che amiamo definire democratici. Certo che, accanto alla putiniana noncuranza verso diritti variamente civili e alla sua mancanza di scrupoli, fa da contraltare un aspetto che ci affascina e che trovo sia molto russo, cioè la preferenza di Putin per azioni politiche 'irragionevoli', frutto di un orgoglio nazionale che non porta ritorni economici, di una esibita autonomia rispetto al nostro strapotere occidentale, ma anche rispetto, ora che pare in rotta persino
Ognuno muore solo , pubblicato nel 1947, è la rielaborazione letteraria da parte di Hans Fallada dell'inchiesta della Gestapo che finì con la condanna a morte di due coniugi ormai anziani. Anna e Otto Quangel, lui caporeparto in fabbrica, lei casalinga, aprono gli occhi sulla barbarie del regime nazista dopo la notizia della morte del figlio al fronte. Cominciano a distribuire per i caseggiati della loro Berlino cartoline di appello alla ribellione. Una storia, vera, sulla solitaria resistenza di due persone comuni. Malgrado le oltre 800 pagine il libro è stato scritto in appena 24 giorni. Il risultato finale probabilmente ne risente, si nota una certa mancanza di accuratezza. Hans Fallada non poteva fare meglio: era stanco e malato, compose il libro e morì poco dopo. L'argomento è coinvolgente, almeno per me, comunque non lascia indifferenti e, tutto sommato, la narrazione è piuttosto avvincente.
(Non so quanto sia cosa saggia dedicare il primo post di un blog al proprio romanzo preferito. Ad ogni modo...) Credo che I fratelli Karamazov in questo momento della mia vita sia il mio romanzo preferito. E questo momento della mia vita dura da più di quindici anni. Poche considerazioni da fare su un libro largamente incensato e analizzato. L'ho riletto fra dicembre e febbraio per la quarta volta. La prima volta fu nel lontano 1993. La prima è che la quarta lettura del libro è stata la migliore. Certo, ogni vero classico “non ha mai finito di dire quel che ha da dire”, secondo la definizione di Calvino, ma leggere un libro come questo – che ha fra le sue caratteristiche salienti una profondità di pensiero costante, debordante, e la presenza di riflessioni filosofico-teologiche – a venti, a trenta o a quarant'anni può dare luogo a esiti differenti. Senza dubbio l'accrescersi delle esperienze e un più corposo bagaglio culturale permettono di addentrarsi più compiutam
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