TIRO AL PICCIONE di John Le Carré: episodi autobriografici, di classe.


Tiro al piccione di John Le Carré è un'autobiografia e, come tale, va vista, coi suoi pregi e difetti. 
I pregi stanno nelle curiosità che chi ama l'autore può soddisfare sotto diversi aspetti. 
I difetti stanno nel fatto che talvolta durante la lettura è lecito pensare chissenfrega! A maggior ragione lo penserà chi non è un appassionato.
Comunque sia, a me in generale Tiro al piccione è piaciuto. Merito ovviamente anche dell'arte narrativa che Le Carrè sa dispiegare con rara capacità. Poi le curiosità da soddisfare sono tante e gli episodi quasi tutti interessanti, benché l'autore non scenda quasi mai nel particolare personale tranne quando narra del padre imbroglione (riprendendo  il testo già pubblicato in Italia come Ronnie, mio padre, di cui ho scritto qua).

Ad esempio, Le Carrè ci rivela: "Lo spionaggio mi è stato imposto sin dalla nascita, allo stesso modo in cui il mare è stato imposto a C. S. Forester o l’India a Paul Scott. Ho cercato di fare del mondo segreto che un tempo conoscevo un palcoscenico per i mondi più ampi in cui viviamo. Prima viene l’immaginazione, poi la ricerca della realtà. E infine il ritorno all’immaginazione e alla scrivania dove mi trovo ora".
Poi puntualizza che l'autore di spy story che egli divenne non è frutto della sua breve attività come agente segreto di Sua Maestà.
"Non fu lo spionaggio a introdurmi alla segretezza. Sotterfugi e raggiri sono stati le indispensabili armi della mia infanzia. Nell’adolescenza siamo tutti un po’ delle spie, ma io ero un veterano. Quando il mondo dei Servizi bussò alla mia porta, fu come tornare a casa".


L'aneddoto più divertente forse riguarda il primo viaggio di Le Carré nell'URSS ormai agli sgoccioli di fine Anni Ottanta. Si reca da un conoscente, intanto è tallonato, come per tutta la sua permanenza in terra sovietica, da due agenti in borghese che fanno poco per nascondersi. Il conoscente per festeggiare la visita apre una bottiglia di vodka. E getta il tappo nell'immondizia. Più tardi David Cornwell (il vero nome dell'autore britannico) esce barcollante dalla casa e non sa come tornare in albergo. A quel punto chiede ai due sorveglianti, che lo attendono al freddo e al gelo, di accompagnarlo sulla via del ritorno... e questi accettano.

Chi avrebbe immaginato, poi, che questo compassato signore inglese avesse provato l'oppio? Senza rimpianto alcuno.
"Non avevo mai fumato oppio prima di allora e quella fu anche l’ultima volta che accadde, ma da quel momento ho coltivato l’idea che l’oppio sia una di quelle droghe proibite dalla pessima reputazione che, se fumata da persone di buon senso in quantità modesta, non può fare altro che bene. (...) E soprattutto, il mattino seguente, non soffri dei postumi di una sbronza, non provi rimorsi, né un penoso down, solo la consapevolezza di una buona notte di sonno alle spalle e l’energia giusta per affrontare il nuovo giorno". L'esperienza conta.

Le Carré insiste parecchio sul fatto di essere uno scrittore di fiction, uno che inventa, non una personalità con particolare agganci o una profonda esperienza nei servizi segreti. E guarda con ironico distacco a chi, come l'allora Presidente della Repubblica Italiana Francesco Cossiga (!!!), gli chiedeva consigli in merito alla gestione degli spioni di casa propria.
"Immagino che, se uno fosse interessato a conoscere i risvolti più segreti delle corse di Formula Uno, non andrebbe a chiederli a un giovane meccanico dotato di una fervida immaginazione, ma privo di qualsiasi esperienza sul campo. Eppure questo è un ottimo esempio di quello che è successo quando, di punto in bianco e solo per i temi toccati dai miei romanzi, mi sono visto trasformato in una specie di guru, un esperto di tutto quello che aveva attinenza con i servizi segreti".

Molto understatement, un po' di storia recente, classe a volontà. L'ho letto volentieri.

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