ROBOT N. 76 di T. Olde Heuvelt e altri: picchi e avvallamenti qualitativi
Il numero 76 di Robot, dell'inverno 2016, vale innanzitutto per la splendida novella di Thomas Olde Heuvelt Il giorno che il mondo si mise a testa in giù che apre la rivista nel migliore dei modi. Premio Hugo che, per quanto mi riguarda è ben meritato. Racconto più fantastico che fantascientifico, ma intrigante fin da subito e innervato di una sana ironia.
Mi è piaciuto anche Henrietta di Paolo Aresi, autore italiano che solitamente si dedica a narrazioni spaziali e che stavolta cala sulla terra del futuro prossimo le vicende di una scoperta fin troppo sensazionale per passare inosservata agli occhi delle autorità.
Fra gli articoli di saggistica è imperdibile l'intervento di Aliette de Bodard (la tipa della foto sopra). L'autrice franco-americana, di origini vietnamite, ci ricorda di come l''occidentalismo' impronti la narrativa non solo fantascientifica molto più di quanto avvertiamo e che, anche in conseguenza di ciò, a coloro che sono gli ultimi per la Storia troppo spesso è riservato un posto in coda anche nelle storie che siamo abituati a leggere.
Kareena di Massimo Soumaré, ambientato nel Mondo9 creato da Dario Tonani, non mi ha detto molto.
Troppo farraginosi per i miei gusti, invece, i venti racconti di una pagina che formano I vagoni di Trainville, inserito nella realtà immaginata da Alain Voudì.
Da Timbuctù, l'ora dei Leoni, lungo racconto ucronico di Robert Silverberg mi attendevo grandi cose, trattandosi dell'opera di uno dei maggiori autori di Science Fiction. Invece sono rimasto abbastanza deluso. Forse perché non vado matto per le ucronie.
Eccellente, ad ogni modo, l'introduzione su Silverberg di Sandro Pergameno.
Fra gli articoli di saggistica è imperdibile l'intervento di Aliette de Bodard (la tipa della foto sopra). L'autrice franco-americana, di origini vietnamite, ci ricorda di come l''occidentalismo' impronti la narrativa non solo fantascientifica molto più di quanto avvertiamo e che, anche in conseguenza di ciò, a coloro che sono gli ultimi per la Storia troppo spesso è riservato un posto in coda anche nelle storie che siamo abituati a leggere.
Valido anche l'articolo di Umberto Rossi sulla fantascientificità (e non) della la trilogia di Valis di Philip Dick.
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