SULLA RAZIONALITÀ OCCIDENTALE di L. Gallino e A.A.V.V.: proposte di cura contro la ragione strumentale
Il tema di questo severo Sulla razionalità occidentale, volume collettivo ad opera di vari esperti di scienze sociali curato da Mario Aldo Toscano e da Antonella Cirillo, tutto sommato è questo (spiegato con parole mie): riteniamo in genere, di essere piuttosto razionali e avveduti, soprattutto chi è anche solo mediamente istruito. In realtà, malgrado la nostra presunta razionalità, abbiamo assunto a modello antropologico degli apprendisti stregoni che hanno in mente più il profitto che la miglior sorte e del mondo e dell'umanità.
Non solo: riteniamo di essere buoni, eticamente irreprensibili, in quanto per la vulgata la nostra avidità, purché attuata secondo le regole attuali, risulta vantaggiosa per tutti quanti, tuttavia la realtà ci si è già rivoltata contro da un pezzo, per cui sarebbe più giusto e sensato rinunciare all'illusione perniciosa dell'avidità benefattrice.
L'intervento che a mo' di introduzione mette a fuoco il fulcro delle trattazioni è quello di Luciano Gallino (foto sotto). Il sociologo recentemente scomparso spiega che sussistono “due forme essenzialmente diverse di ragione: la oggettiva e la strumentale”, l'una a riflettere sulla struttura della realtà, l'altra a conseguire un fine che reputa utile. Da decenni, sostiene Gallino, l'Occidente persegue la sola ragione strumentale, da cui deriva la costruzione dell'homo oeconomicus. Il modello di gestione d'impresa dunque è invalso in ogni sfera della vita a un punto tale per cui oggi “la ricerca dell'utile è giunta a inscriversi nella natura umana”.
In effetti, mi permetto di aggiungere, chi risulta vincitore nel mondo dove la legge della domanda e dell'offerta vale sopra ogni altra spesso non è il migliore, non la persona migliore, né la più saggia o la più lungimirante. Stiamo parlando di un mondo (immaginario) dove deputato ad assumere un ruolo attivo sarebbe solo l'uomo imprenditore, l'homo oeconomicus per l'appunto. La giustificazione tipica è che il modello antropologico imprenditoriale implicherebbe vantaggi per la comunità tutta. Perfino vero, fino a un certo punto, perché dalla sua attività scaturiscono ricchezza, lavoro e redditi anche per altri. Tuttavia stiamo scoprendo – non tutti, mi rendo conto, ma comunque in tantissimi – che il mondo dominato da questo prototipo umano non è, obbiettivamente, quello più ricco. In teoria dovremmo aver già compreso che le politiche economiche neoliberiste - il portato più evidente del dispiegarsi della ragione strumentale - producono iniquità, con pochissimi straricchi e tantissimi poveri, trasformando il mondo in un posto dove si vive peggio benché in linea coi dettami della dottrina di riferimento.
Vedremo quanto durerà il tabù del sostegno al libero mercato, finora considerato valido sia quando le cose andavano apparentemente bene, tramite legislazione a esso favorevole, sia quando le cose hanno iniziato ad andare prevedibilmente male, tramite dazione di denaro pubblico a tappare le falle prodotte dall'illuminata gestione neoliberista dell'economia.
Nel suo intervento Lorenza Boninu fa notare che al momento la narrazione vincente è quella neoliberista malgrado le smentite alle sue ricette giunte dalla crisi economica. Le alternative sono liquidate come obsolete, “come se il postmoderno si rovesciasse, alla fine, nella pre-modernità, spazzando via diritti che, almeno in Occidente, sembravano ormai indiscutibili”.
Francesco Fistetti approfondisce la questione. La razionalità moderna, scrive, è improntata al principio di reciprocità proprio del mercato, ovvero do ut des. Una valida alternativa, secondo Fistetti, potrebbe essere quella dell''universo del dono e della donazione', irriducibile al registro univoco dell'interesse individuale e del consumo. Un'alternativa che, a suo dire, potrebbe risolvere l'aporia della cultura moderna che, mentre “ci ha emancipato dalle molteplici forme del dominiio personale (la dialettica servo/padrone), nello stesso tempo ci ha liberato dagli 'altri' emacipandoci dai legami sociali”.
Per Federico Sofritti con Descartes, col suo metodo 'matrice' della razionalità moderna occidentale, è nata una nuova cultura, che però a sua volta è ben presto divenuta una sorta di consuetudine, per cui il principio di abitudine e di autorità precedente non viene davvero superato, bensì, semplicemente, sostituito da uno nuovo. La ragione cartesiana neutralizza l'immagine del mondo che l'ha resa possibile, è vero, ma nel senso che la fede nella scienza prende il posto della fede religiosa. Inoltre, va rilevato, anche con tale scientismo e con l'avvento dell'homo oeconomicus rimangono inappagati quei bisogni articolati attraverso la religione, consistenti in linea di massima nella ricerca di un senso al corso del mondo.
Secondo Gerardo Pastore “la conoscenza è essa stessa un motore destinato non a risolvere i problemi (dati) ma a generare iper-complessità, producendo in continuazione nuovi problemi, ma anche nuove possibilità”. Ciò anche a cagione della parcellizzazione delle conoscenze, un fenomeno sempre più diffuso che produce ignoranza globale.
Lorenza Boninu (foto sopra) porta - meritoriamente - all'attenzione del lettore l'inquietante processo di formazione del cittadino attualmente in atto: un “addestramento funzionale alle esigenze della società tardocapitalistica: non si vogliono più formare cittadini capaci di critica, in grado di nesrcitare consapevolmente i propri diritti, ma lavoratori precari votati al consumo”.
Una importante puntalizzazione di Orlando Lentini, il quale scrive, a proposito di politica e antipolitica, che “la 'politica' non esiste, esistono coloro che svolgono una funzione politica, le organizzazioni politiche, la cultura politica etc.”.
Antonella Elisa Castronovo sottolinea come i mezzi di informazione, i cosidetti 'serbatoi del pensiero', "hanno continuato ad avallare il funzionamento dell'economia contemporanea come uno dei sistemi più efficienti che si potessero mai immaginare”. Da tale “processo di costruzione ideologica" non può che derivare (beffa in aggiunta al danno) la legittimazione di misure miranti allo smantellamento di conquiste sociali e politiche proprio da parte di quei cittadini che poi ne saranno svantaggiati.
In conclusione, se davvero ci riteniamo razionali, una volta individuato il male che ci attanaglia, faremmo bene a indirizzare le nostre energie verso una cura anziché continuare a scavare la fossa dove seppellirci.
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