BLUES JAM IN CHICAGO Fleetwood Mac & altri 1969: It's only blues but I like it


Non fate caso alla copertina del disco che sto introducendo: è brutta, ma si tratta di una ristampa e comunque il contenuto è bellissimo. Sotto mostro la copertina interna del doppio LP, dove si possono (intra)vedere foto e nomi dei musicisti coinvolti.


Ci sono i primi Fleetwood Mac, quelli capitanati Peter Green, giovani (nel 1969, quando è stato registrato il disco) paladini del British Blues, ragazzi che negli anni '50 e soprattutto '60 suonavano rifacendosi al blues classico americano, specialmente quello di Chicago. Ci sono poi proprio alcuni altisonanti nomi del blues di Chicago, come Otis Spann, Willie Dixon, Walter 'Shackey' Horton e altri.

La storia è questa: nel gennaio del '69 il produttore inglese Mike Vernon, con la sua casa discografica Blue Horizon, produsse sotto la ragione sociale Fleetwood Mac questa blues jam, negli studi della mitica Chess Records, a cui parteciparono gli attempati caposcuola del blues e gli allievi Fleetwood Mac.

Chi apprezza il blues dovrebbe conoscere questo disco. A maggior ragione chi, come me, ama il blues bastardo, venato di rock, che aveva trovato terreno fertile nell'Inghilterra degli anni Sessanta. Gli autori dei pezzi (vedi qui) sono sia i capiscuola afroamericani sia i discepoli inglesi e tutta questa gente si alterna e si amalgama nel corso delle esecuzioni. Di canzone in canzone cambia lo stile e cambia il timbro vocale, giovanile quello dei membri dei Fleewood Mac laddove quello dei maestri di Chicago è così maturo e così negro (niente razzismo, è il termine più pregnante e diretto per descrivere la malinconica, naturale, inclinazione di quelle inconfondibili voci afroamericane: un pregio specifico).

Qualcuno mi potrebbe rispondere: guarda, non me ne frega niente di ascoltare nel 2016 della musica che ormai aveva già fatto il suo tempo cinquant'anni fa, senza contare che il blues è sempre quello, con la sua struttura melodica semplice e ripetitiva.

Risponderei: nulla di male se il blues non ti piace.

Però aggiungerei che, a quanto ne so io, l'essere sempre quello, in fin dei conti, è proprio il vantaggio del blues nonché la sua peculiarità. In proposito basta dare un'occhiata alla pagina Wikipedia dedicata alla voce blues per vederne riportate in rapida sintesi la struttura di base, le scale e gli accordi. Poi da quelle fondamenta si sono costruiti altri più complessi edifici, ma questa è un'altra faccenda. Il blues è rimasto quello lì, poco suscettibile alle mode, compiuto così com'è, bello da ascoltare, meraviglioso da veder suonato, e non intende essere altro, né allora, né dopo, né in futuro. Dunque, mi vien da pensare, in un certo senso è eterno.

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