DIE di Iosonouncane: musica in grande

(Avevo appena aperto questo blog e inserito il primo dei miei pochi post dedicati alla musica quando il mio amico C., che di musica se ne intende più di me, anche perché la suona, mi ha scritto una mail in cui mi raccomandava di ascoltare Die di Iosonouncane. “Per me è poderoso” mi diceva. Caro C. ti ringrazio per l'ottimo consiglio)



Va subito detto che DIE, di Iosonouncane, al secolo Jacopo Incani, è un album splendido. Non si tratta di una semplice raccolta di canzoni, ma di un album unitario, concepito per l'ascolto continuativo di tutte le sei tracce. Già questo non è poco in un'epoca in cui si tende a scaricare dal web un pezzo per ascoltarlo veloce e ritenere che se mi ha sollazzato per tre minuti già va bene.

DIE è una suite suddivisa in sei parti. I primi due pezzi danno il tono a tutta la suite che poi si modula come una serie di variazioni sul tema.

Così lo descrive utilmente Rock.it: “Il giorno è alto sulle rive e un uomo in mezzo al mare teme di morire. Nello stesso istante una donna guarda dalla terra ferma gli ultimi scoppi di burrasca al largo vivendo il terrore di non rivederlo mai più. DIE è il racconto dei loro pensieri in una manciata di secondi. Il racconto è strutturato in sei parti, con due brani corali ad aprire e chiudere il disco, e 4 brani centrali in prima persona, due per ognuno dei protagonisti.
Il linguaggio è essenziale e arcaico, privo di ogni intento estetizzante o aggettivazione superflua. Il lessico è ridotto all'osso, con poche parole ricorrenti che ordinandosi di volta in volta in modo differente costruiscono il racconto attraverso la costruzione delle immagini... Tanto nella trama e nei testi quanto nella costruzione musicale, DIE non ha alcuna connotazione storica o sociale, è svincolato dalla cronaca, non appartiene a nessun tempo o luogo definito, non ha limiti di genere. È un disco esistenzialista e anarchico, profondamente arcaico e per questo radicalmente moderno.


Il brano iniziale, Tanca, quando l'ho ascoltato la prima volta mi ha lasciato basito tanto è magnifico, con quella sua ouverture in un crescendo solenne di suoni moderni e ancestrali al contempo, per schiudersi poi a toni solari e al canto. Ho sentito qualcosa che non udivo da un pezzo. Un grande canzone, italiana per di più, scritta senza badare a compagni di strada e a binari segnati, lunga più di otto minuti, che sale, scende, risale e ci accompagna al pezzo seguente.

Stormi, la seconda traccia, mi ha ricordato il disco Amore non amore di Battisti, quello cioè poco conosciuto dei primi esperimenti coi PFM, coi suoi cori, la vitalità, l'inquietudine.

Il resto della suite segue il tracciato indicato dai primi due pezzi. Moderno eppure ancestrale, in quanto fa uso di elettronica, ma c'è tanto altro, anche sprazzi musicali che evocano qualcosa di antico, di tribale, quasi.

Finalmente un disco davvero ambizioso. Pinkfloydianamente ambizioso, mi viene da pensare, perché in piena autonomia guarda solo all'obbiettivo artistico che si è posto e utilizza la tecnologia contemporanea per produrre musica che mira ad essere senza tempo. In gran parte l'obbiettivo è centrato.

Curiosità: il titolo, ha spiegato qui 
Jacopo Incani a Giovanni Ansaldo, “ha tanti significati: in sardo significa giorno, in inglese morire e in tedesco è l’articolo determinativo femminile”.

Sarebbe bello chiedere a Jacopo Incani il perché della singolare ragione sociale che si è scelto e se, qualora fosse stato donna, avrebbe scelto di farsi chiamare Iosonounacagna, ma quello che
, sempre ad Ansaldo, ha detto di pensare a proposito dei cosiddetti 'cantautori' mi pare spieghi già abbastanza: “È solo una categoria creata per mettere i prodotti sugli scaffali. Per l’Italia, che è un paese conservatore, il cantautore è colui che dice la verità. È un’immagine consolatoria e reazionaria, di destra, con cui non voglio avere un cazzo a che fare”. 

A parte gli scherzi, un disco formidabile, consigliato a chi ama la musica in grande.

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