I GIORNI E GLI ANNI VOL. 1 di Uwe Johnson: infiniti dubbi e poche risposte sotto il nostro cielo


Durante l'esame di un'opera letteraria spesso trovo utile la millenaria distinzione tra forma e sostanza. differenziare quello che un libro ci dice dalla maniera in cui lo dice.
Sotto qualche aspetto si può ritenere questo metodo inadeguato, stantio o obsoleto. Da parte mia, trovo che talvolta sia quasi inevitabile impiegarlo. Molto dipende dal tipo di libro con cui si ha a che fare.
Ultimamente, ad esempio, discutendo intorno all'opera di Thomas Pynchon, mi è capitato di notare come sia decisamente sbilanciato sul versante formale della scrittura - ricercata, sovente ostica - e, per converso, piuttosto nebuloso quanto a sostanza o addirittura fermo ai primi strati della crosta dei contenuti. 
Per altro verso Dostoevskij non è considerato - e non si considerava egli stesso - un esempio di bella scrittura, eppure lo spessore concettuale dei suoi libri rimane inarrivabile.

Premesso ciò, I giorni e gli anni di Uwe Johnson, pubblicato in quattro volumi tra il 1970 e il 1983, è un raro caso in cui la partizione tra forma e contenuti non è attuabile e neppure ha importanza. Perché i due poli distinti del "come" e del "cosa" sono talmente interdipendenti, così perfettamente congiunti, che operarne un'analisi separata non ha senso.

Sotto questo profilo Jahrestage è un romanzo che può mettere d'accordo tutti.
La forma è al servizio delle storie narrate. Al contempo le storie narrate da I giorni e gli anni sono trasfigurate e filtrate dalle peculiari scelte stilistiche dell'autore tedesco.

Tre sono le linee narrative tracciate dal romanzo:

1) La cronaca giorno per giorno, dal 21 agosto 1967 al 20 agosto 1968, del vissuto quotidiano, tra ricordi e riflessioni, di Gesine Cresspahl e della figlia decenne (ma assai matura) Marie, immigrate tedesche a New York; 
2) I resoconti giornalieri di attualità (per noi, oggi, Storia) tratti dal New York Times, di cui Gesine è assidua lettrice;
3) Le vicende occorse ai genitori di Gesine a partire dagli anni Trenta, filtrate dalla prospettiva di Gesine che le narra alla figlia registrandole su nastro magnetico. Quest'ultima diramazione narrativa diviene vieppiù quella preponderante.


Facile intuire che la lettura di I giorni e gli anni non sia di quelle scorrevoli. Anzi, la lettura è necessariamente lenta, obbliga a ritornare su certi periodi, per scoprire talvolta di non averne compreso il senso alla prima lettura o di non averne colto tutti i significati.


La cifra stilistica di Uwe Johnson è stata improntata fin dal suo esordio, il romanzo Congetture su Jacob, proprio sulla congettura. Vero è che i primi libri dell'autore tedesco erano di più ardua lettura rispetto a I giorni e gli anni, ma anche Jahrestage va letto come una sorta di disarticolato resoconto su determinate vicende o su certe vite, quasi si procedesse a un'indagine attraverso un amalgama di discorsi, confessioni, impressioni, opinioni, stralci di dialoghi o di ricordi, dove il non detto può valere quanto la frazione di realtà resa manifesta dalla narrazione.

Ciononostante - e qui, secondo me, sta l'esito straordinario di I giorni e gli anni rispetto alle opere precedenti di Johnson e rispetto a tanta narrativa sperimentale o che comunque tenta di superare i canoni del romanzo tradizionale - l'opera è leggibile, non è la corsa a ostacoli che può sembrare da quanto evidenziato sopra.

Saccheggio l'ottimo commento a I giorni e gli anni pubblicato anni or sono sul sito web dell'editore Feltrinelli: "Hans Mayer, consiglia ai lettori degli Jahrestage di "darsi" completamente al testo come se si entrasse nella Recherche di Marcel Proust, dove non è possibile comprendere alcunché se il lettore non decide di immergersi nel flusso temporale della narrazione completamente spoglio da intenzioni o attese. E’ assolutamente inutile leggere Jahrestage con una logica lineare a cui si è soliti ricorrere quando si affronta una pagina, la scrittura s’alterna su meticolose ed ossessive descrizioni all’interno di situazioni informi ed enigmatiche. Aderendo alla sua certosina labirintite si riuscirà a passare da un giorno all’altro di Gesine Cressphal come da un capitolo compiuto all’altro, attraversando dialoghi, filastrocche, pensieri, interazioni di altri personaggi ed altre variabili. (...) Michele Ranchetti, uno dei massimi intellettuali italiani, coglie nel segno quando afferma che non è possibile ascrivere nell’ambito narrativo i libri di questo singolarissimo tedesco. Non è l’epoca contemporanea più il tempo per sistemi letterari in forma di saggio critico o romanzo, né il tempo per nuove metafisiche o fenomenologie, Johnson voleva scrivere qualcosa che potesse essere trasversale ad ogni dimensione, capace di raccogliere in se ogni molteplicità, per conservare e comprendere quanto v’è d’immensamente irriducibile nella vita d’un individuo".


Per capire che tipo fosse Uwe Johnson, eccolo in questa intervista di Enrico Filippini del 1961 che spiega: "Il romanzo è stato sviluppato prevalentemente nel secolo scorso, per un pubblico passato. La narrazione è un’operazione della coscienza; nel secolo scorso si era soliti adottare come intelaiatura del romanzo una cronologia, un tempo cronologico fissato artificialmente. Ora sembra che la coscienza dell’uomo contemporaneo non vada più d’accordo con questa bella forma d’arte. Il cervello funziona in un modo completamente diverso, la coscienza non lavora secondo una cronologia, e io penso che dobbiamo cercare e trovare le vie più adatte per adattare il romanzo alla nostra coscienza attuale".
Questa affermazione dell'autore, precedente di parecchi la composizione di I giorni e gli anni, rende evidente come sia scaturita l'idea di creare un romanzo che è diario, flusso di coscienza, di ricordi, di impressioni sfocate, ma soprattutto sfuggente supposizione - quasi indagine - circa il presente e un vissuto che non appartiene solo al passato, ma rimane incastonato nella nostra coscienza attuale.

Nella stessa intervista, quando Filippini chiede a Uwe Johnson se egli segua il medesimo programma del roman nouveau a cui l'opera dell'autore tedesco era stata accostata, lo scrittore risponde seccamente: "No, intanto non perseguo un programma. Quello che mi importa è soltanto di raccontare una storia che conosco e nel modo più calzante".
Con I giorni e gli anni ci è riuscito? A mio avviso sì. L'accento va però posto sul quel "una storia che conosco". Quanto ne conosce l'autore di quella storia che ci racconta? E quanto sono in grado io, lettore, di comprendere questa storia? Uwe Johnson sembra farla semplice, con la sua affermazione risoluta, ma semplice la questione non lo è. Il suo capolavoro conferma che sotto il nostro cielo convivono infiniti dubbi e poche risposte.


Piccola nota conclusiva: l'edizione che ho (ri)letto io (prima foto in alto) è quella pubblicata da Feltrinelli nel 2002, la prima con la traduzione, benemerita e sudata, di Nicola Pasqualetti e Delia Angiolini. Feltrinelli pubblicò poi soltanto il secondo volume della quadrilogia nel 2005, lasciando nel limbo i due volumi conclusivi su cui stavano già lavorando i traduttori e lasciando l'amaro in bocca a chi, come me, aveva apprezzato la prima metà di Jahrestage. Per fortuna la piccola e coraggiosa casa editrice L'Orma tra il 2014 e il 2016 ha ristampato i primi due volumi e ha completato il lavoro lasciata a metà dalla pavida Feltrinelli pubblicando anche gli ultimi due volumi di I giorni e gli anni. In una edizione anche più elegante, peraltro, come si vede sopra. Un vero piacere per gli amanti del libro cartaceo.

Vivamente consigliato, soprattutto a chi non teme di percorrere le vie più impervie della narrativa per scoprirne i tesori nascosti.

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